Dal maiale nero locale alla razza Yorkshire grande “Large White”
Per diversi secoli i prosciutti e gli altri salumi del territorio parmense sono stati prodotti utilizzando le carni del maiale nero locale, una razza cosiddetta iberica diffusa in Spagna, in alcune zone della Francia e in Italia sia settentrionale che meridionale.
Si trattava di un suino semiselvatico di piccole dimensioni, scuro come i suoi cugini cinghiali, abbastanza alto da terra e con zampe piuttosto lunghe.
Si muoveva molto e andava a cercarsi il cibo da solo nei boschi di querce.
Come spiega il geografo Strabone tali boschi avevano grandi dimensioni ed erano situati in una vasta area compresa tra la via Emilia e il Po.
Zona che all’epoca era soggetta a frequenti innondazioni poiché i fiumi non avevano argini e non erano stati irregimentati come oggi.
Piccola curiosità: in passato i boschi di quercia non erano misurati a superficie bensì a maiali. Ovvero, dal numero di suini che il bosco poteva alimentare.
Ad esempio, si diceva: “Questo bosco è da 100 maiali”.
Il maiale nero impiegava due anni per raggiungere il peso idoneo per la macellazione e la trasformazione in salumi.
Nel 1500 mediamente pesava 80 Kg.
Nel 1600, grazie al miglioramento della nutrizione e ad altri fattori, era arrivato a pesare 98 Kg.
Nel 1700 il peso era salito a 106 Kg.
E agli inizi del 1800 raggiunse i 125 Kg.
A questo punto accadde che Carlo III di Borbone, successore di Maria Luigia d’Austria alla guida del Ducato di Parma decise, su consiglio dei suoi agronomi, di introdurre nel territorio i maiali inglesi di razza “Large White”.
Inizialmente, le due razze vennero incrociate ma alla fine fu deciso di sostituire, negli allevamenti, il maiale nero locale con quello inglese poiché garantiva cosce più grandi per la produzione di prosciutti.
In quanto questo tipo di suino essendo stazionario è molto più grosso e cresce molto più rapidamente.
Infatti, dopo un anno di vita è già pronto per essere macellato e trasformato in salumi.
Ma il maiale nero locale che fine fece?
Egli sopravvisse solo nell’Alto Appennino dove continuava a fare la sua vita allo stato brado nei boschi.
Ed è lì che negli anni ‘90 del Novecento grazie a un progetto di recupero è stato reintrodotto nell’allevamento e nella produzione di salumi.
Piccola curiosità: con l’introduzione del “Large White” e, poi, di altre successive varietà di maiali le famiglie contadine sono state costrette a cambiare la loro alimentazione.
Infatti, mentre con il battuto di lardo del maiale nero i contadini potevano arricchire le loro minestre portando un certo equilibrio nutrizionale a quel loro piatto povero grazie all’apporto di proteine della carne, ciò non poteva essere fatto con il lardo del “Large White” poiché molliccio, amaro e disgustoso.
Così questo elemento della ricetta venne sostituito dal pomodoro che portò un po’ di colore alla minestra di verdure.
Si può quindi, tranquillamente, affermare che le ragioni della produzione prevalsero su quelle alimentari dei poveri contadini.
CONCLUSIONE
Spero che questo mio breve excursus dedicato alla storia del maiale nel territorio parmense ti sia piaciuto.
Ciò detto, non mi resta che salutarti dandoti appuntamento al prossimo post.
Ciao,
Mamma Rosa
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