Breve viaggio nella tradizione viticola del territorio parmense.
Oggi voglio parlarti della vocazione viticola delle colline della provincia di Parma, un territorio compreso tra il fiume Enza, ad est, e il torrente Stirone, a ovest, che nell’ottocento ha prodotto vini di un livello qualitativo tale da essere diventati un'eccellenza a livello mondiale.
Purtroppo, tra la fine degli anni ‘20 e i primi anni ‘30 del novecento, i vitigni che davano un vino così pregiato furono colpiti dalla fillossera che danneggiò in modo irreparabile i vigneti che a quel punto furono abbandonati in favore di altre produzioni agricole.
La viticoltura, in questa zona, riprese in modo consistente solo dopo la fine della seconda guerra mondiale ad opera di alcuni coraggiosi viticoltori.
I vini delle colline della provincia di Parma sono l’ideale accompagnamento di pasti a base di Parmigiano Reggiano, Prosciutto crudo di Parma, Salame Felino, Culatello di Zibello e degli altri prodotti tipici emiliani.
Sono vini frutto di una produzione le cui prime tracce risalgono ai tempi degli antichi romani e che, nel corso dei secoli, attraverso un percorso evolutivo costante hanno conquistato il diritto di fregiarsi della denominazione DOP “Colli di Parma” che viene rilasciata Consorzio volontario per la tutela dei vini “Colli di Parma”, partecipato da circa una cinquantina di soci di cui ventidue sono produttori e imbottigliatori dei vini da loro prodotti.
Le funzioni del consorzio, nato nel 1977, sono due:
- Tutela della qualità
- Promozione dei vini
In particolare, quest’ultima funzione viene portata avanti attraverso:
il Festival della Malvasia a Sala Baganza che, ogni anno, assegna la Cosèta d'Or al miglior vino frizzante secco fatto con l’uva di questo vitigno;
la realizzazione di eventi presso le cantine consorziate, come il “Colli di Parma Summer Wine”;
il Museo del Vino, inaugurato nel 2014.
L’accenno a questa istituzione museale mi dà lo spunto per farti fare un salto nel passato per scoprire:
Chi e perché ha diffuso la coltura della vite nel parmense (e nel resto di Europa).
Come mai il consumo di birra e vino era così diffuso in antichità.
I contenitori del vino: anfora, botte e bottiglia.
Let’s go!
L’ARRIVO DELLA VITE NEL PARMENSE
Nel I secolo a. C., diversi anni dopo la fondazione della città di Parma (183 a. C., n.d.r.), grazie al cambiamento climatico che aveva portato ad un innalzamento delle temperature in tutta la zona, i romani iniziarono a piantare i primi vitigni.
Ma perché i romani che, fino ad allora, per il loro consumo personale si erano limitati a importare il vino dalle terre del sud cominciarono a piantare i vitigni?
Beh, devi sapere che la dottrina militare romana prevedeva che, una volta stabilizzato un territorio appena conquistato, i militari lasciati a presidio del suddetto si dedicassero al lavoro dei campi, piantando le viti.
Questo per lanciare ai popoli appena soggiogati un messaggio fortissimo: noi piantiamo viti. Ci vorranno anni prima che diano frutto. E noi saremo ancora qui.
Ciò, come hanno dimostrato recenti studi fatti in tutta Europa, ha contribuito a diffondere la pianta della vite in tutto il continente.
Infatti, la mappatura genetica delle piante in Germania e Inghilterra ha sancito la discendenza dei vitigni locali da quelli italiani.
Tornando a noi!
Nel I secolo a. C. il primo vitigno che venne introdotto nel parmense dai romani fu la vite labrusca.
Una vite da cui si produce un vino che fa la schiuma.
Cosa che ne favorì l’adozione da parte delle popolazioni locali di origine celtica che, a quei tempi, erano abituate a consumare solo birra.
L’ACQUA FA RUGGINE?
Prima dell’avvento delle moderne tecniche di potabilizzazione il consumo di acqua comportava diversi rischi per la salute.
Non era raro, infatti, che animali morti in stato di decomposizione avvelenassero le acque.
Per questo motivo in antichità si faceva largo consumo di vino e di birra che, a causa del processo di fermentazione utilizzato per produrre queste due bevande, erano prive di batteri nocivi per l’uomo.
I romani erano soliti bere vino con aggiunta di acqua per ridurre la gradazione alcolica e resine per migliorarne il gusto.
Dopodiché, prima di berlo scaldavano la coppa che lo conteneva con le mani per far evaporare una parte della resina.
Invece, le popolazioni celtiche della provincia di Parma, come ho scritto poc’anzi, avevano l’abitudine di bere birra che era frutto della fermentazione naturale di piante locali come, ad esempio, il sambuco.
Non era allungata con acqua e veniva versata in appositi bicchieri che permettevano alla schiuma di affiorare.
Ciò consentiva di eliminare la parte di schiuma in eccesso, la quale conteneva le impurità, con un coltello di legno.
Quando, tra le genti del luogo, il consumo di vino iniziò a soppiantare quello della birra, esse non adottarono il modo di bere dei romani.
Ma iniziarono a consumarlo nei medesimi bicchieri utilizzati per la birra senza aggiungere resine, né acqua, né scaldando il bicchiere con le mani.
Fu così che nacque il moderno modo di consumare il vino.
Piccola curiosità: Ma se l’acqua poteva contenere batteri nocivi per l’uomo, perché i romani la mettevano nel vino? Perché il vino a causa della sua gradazione alcolica rendeva quell’acqua potabile.
DALL’ANFORA ALLA BOTTIGLIA
I romani, anche se conoscevano l’uso della botte, erano soliti trasportare il vino nelle anfore.
Queste ultime avevano forme diverse a seconda del luogo di produzione e ciò permetteva di identificare la zona di provenienza di un determinato vino.
La botte venne perfezionata nel Medioevo e per secoli fu utilizzata per trasportare ogni tipo di merce (anche oggetti imballati).
E la bottiglia come contenitore per il trasporto del vino quando fa la sua apparizione?
Molto tardi poiché la tecnica di produzione del vetro dava origine a un prodotto molto fragile.
Le cose cambiarono quando nel 1600, in Inghilterra, re Giorgio, impose per legge ai vetrai di non utilizzare la legna nei loro altoforni poiché c’era bisogno di quel legno per la costruzione delle navi utili alla difesa degli interessi dell’impero.
I vetrai, a quel punto, si misero a cercare delle soluzioni alternative per alimentare le loro fornaci.
Iniziarono ad utilizzare il carbone che, avendo un potere calorico maggiore rispetto a quello della legna, permise loro di creare bottiglie di vetro più spesse e più robuste anche se più scure rispetto a quelle che producevano in precedenza.
Di lì a poco un signore di nome Dom Pérignon iniziò a fare i primi esperimenti di imbottigliamento dello champagne.
Nasce così l’uso moderno di confezionare il vino dentro la bottiglia.
Piccola curiosità: Il geografo greco Strabone scrive nelle sue opere che, nel parmense, i galli costruivano botti grandi come una casa.
CONCLUSIONE
Spero che questo mio breve excursus dedicato alla vocazione viticola vini delle colline della provincia di Parma, una delle eccellenze del territorio della regione Emilia Romagna, ti sia piaciuto.
Scopri i migliori vini delle colline di Parma all'interno della nostra selezione di vini.
Ciò detto non mi resta che salutarti dandoti appuntamento al prossimo post.
Ciao,
Mamma Rosa