Produzione Parmigiano Reggiano

Produzione Parmigiano Reggiano

La produzione del re dei formaggi ieri e oggi

Oggi, mio caro lettore, ti porterò a spasso nel tempo alla scoperta dei processi produttivi del Parmigiano Reggiano.

Infatti, devi sapere che il metodo di produzione del re dei formaggi è cambiato nel corso dei secoli.

Ciò detto, mettiti comodo perché il tuo viaggio nel tempo sta per iniziare.

I MONACI

Tra il 1000 e il 1100 i monaci cistercensi e quelli benedettini si insediarono nel nostro territorio e iniziarono un grande lavoro di bonifica della zona compresa tra la via Emilia e il fiume Po.

A quei tempi quest’area era prevalentemente acquitrinosa e, periodicamente, si riempiva d’acqua a causa delle piene dei torrenti.

Inoltre, la vegetazione del luogo era composta per lo più da grandi foreste di querce frequentate da numerosi branchi di maiali.

I monaci, che avevano delle grandi comunità da mantenere, iniziarono a scavare dei canali per drenare via l’acqua che ricopriva questi terreni poiché avevano la necessità di ottenere terre coltivabili e prati stabili da utilizzare per l’allevamento dei bovini.

Questi ultimi erano, particolarmente, preziosi perché producevano grandi quantità di latte che venivano trasformate in Parmigiano Reggiano poiché era l’unico modo che i benedettini e i cistercensi avevano per conservare per lungo tempo l’ingente quantità di materia prima che ottenevano dalla mungitura delle vacche.

Il procedimento che seguivano per ottenere delle forme di formaggio che potessero essere conservate a lungo era il seguente. 

Il casaro mungeva le mucche al pomeriggio, dopo che avevano pascolato per tutto il giorno, ottenendo un latte grasso che veniva messo a riposare tutta la notte in delle bacinelle.

Questa procedura faceva sì che la panna, cioè la parte grassa del latte, affiorasse naturalmente poiché più leggera della sua parte liquida.

La mattina seguente la panna affiorata veniva tolta per dar vita al latte scremato che mischiato con il latte delle mucche munte al mattino, il quale è per sua natura magro, dava vita al formaggio che, poi, era messo a maturare fino a diventare Parmigiano Reggiano (Caseus Parmensis, denominazione che viene utilizzata per la prima volta in un documento ufficiale nel 1254, n.d.r.). 

Ma che fine faceva la panna?

Essa veniva utilizzata per fare il burro.

COME SI PRODUCEVA IL PARMIGIANO REGGIANO IN PASSATO

Per capire meglio come i monaci ottenevano il Parmigiano Reggiano dobbiamo seguire il latte.

Come detto in precedenza, nel pomeriggio, le mucche venivano munte e il latte veniva portato con un carrettino al caseificio.

Di solito, tale struttura, che non era vicino alle stalle, raccoglieva il latte di tutta la zona.

Una volta giunto al caseificio il latte veniva pesato e registrato all’interno di un quaderno che riportava il nome del contadino che lo aveva conferito.

Questo perché per fare una forma di Parmigiano Reggiano occorrono 500 litri di latte e all’epoca nessuno possedeva un numero sufficiente di vacche per produrre una simile quantità di prodotto.

Piccola curiosità: solo una volta raggiunti i litri necessari per produrre una forma di formaggio i conferenti venivano pagati in proporzione a quanto apportato o con il prodotto o con denaro.

N. B.: all’epoca i caseifici non lavoravano tutto l’anno bensì 120/140 giorni. In pratica, da giugno (quando la mucca partorisce il vitello, n.d.r.) fino all’autunno.

Tornando a noi, dopo aver pesato il latte il casaro lo metteva dentro dei contenitori piatti e bassi dove veniva fatto riposare al fresco tutta la notte.

La mattina si ripeteva tutta la procedura di pesatura e registrazione per il latte magro che veniva conferito al caseificio dai contadini.

Fatto ciò il casaro versava quest’ultimo direttamente nella caldaia e vi aggiungeva il latte scremato, ovvero privato della panna, della sera precedente.

A questo punto veniva acceso il fuoco sotto la caldaia e con un attrezzo che si chiama spino si spezzava la massa che si formava quando il casaro versava nel latte il caglio (cioè gli enzimi ottenuti dallo stomaco dei vitelli che consentono la precipitazione delle caseine e il sorgere della massa caseosa, n.d.r.). 

Questa operazione dava vita a una serie di granellini, la cui consistenza veniva saggiata dalle mani del casaro.

Granellini che precipitando in fondo alla caldaia facevano nascere la forma.

Una volta recuperata questa massa caseosa con dei bastoni, un telo di lino e una pala la si metteva all’interno di una fascia circolare di legno, detta fascera, che serviva per mantenere la forma del Parmigiano Reggiano.

Una volta sgrondata dal siero, asciugata e formata la forma di Parmigiano Reggiano veniva massaggiata regolarmente ogni settimana con del sale a secco.

Quest’ultimo trattamento aveva la funzione di togliere l’acqua all’interno e, quindi, di ridurre l’attività dei batteri.

Una volta conclusa questa operazione il formaggio veniva mandato a stagionare.

Piccola curiosità: inizialmente, e stiamo parlando del XV secolo, una forma di formaggio pesava 13 kg questo poiché se fosse andata a male si sarebbe buttato via meno latte.

Col passare del tempo il miglioramento delle condizioni igeniche e delle modalità di lavorazione hanno permesso di aumentare il peso del formaggio: 20 kg nel ‘600, 25 kg nell’ottocento e 30 kg subito dopo la guerra. 

Attualmente, invece, questo peso varia tra i 33/40 kg.

COME SI PRODUCE IL PARMIGIANO REGGIANO OGGI

Nel 1954 nasce a Reggio-Emilia il Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano che riunisce oltre 320 caseifici produttori che rappresentano, a loro volta, i circa 2600 allevatori di bovine da latte delle province di Parma, Reggio-Emilia, Modena, Mantova a destra del Po e Bologna a sinistra del Reno che costituiscono la zona tipica di produzione.

Infatti, come prevede il disciplinare che stabilisce gli standard produttivi del prodotto, scritto nel secondo dopoguerra, solamente il latte di questi allevamenti può essere utilizzato per produrre il re dei formaggi.

Ma non solo. 

Anche i foraggi (erba fresca o essicata) che nutrono le mucche devono essere locali.

Questo serve per preservare l’impronta microbiologica del prodotto finale.

E sempre per la medesima ragione è assolutamente vietato l’uso del mais insilato nella loro nutrizione.

Ma torniamo all’argomento principale di questo post: il processo produttivo.

Il suddetto consorzio nello standardizzare il processo di produzione del Parmigiano Reggiano ha sancito un taglio netto con i metodi produttivi descritti nella prima parte di questo articolo.

Le differenze principali sono tre:

La prima è la previsione dell’utilizzo del siero innesto (liquido ricco di batteri lattici termofili che si ottiene dalla lavorazione del formaggio del giorno precedente, n.d.r.) per favorire la trasformazione del latte in formaggio.

Questo siero sfrutta il medesimo principio del lievito madre e viene rinnovato di giorno in giorno.

I vantaggi derivanti dal suo utilizzo sono:

  • la totale eliminazione del lattosio che sparisce nelle prime 48 ore della produzione (la qual cosa rende digeribile il Parmigiano Reggiano anche per le persone intolleranti a questo zucchero)
  • le qualità organolettiche superiori
  • un gusto più consistente e intenso
  • una maggior salubrità e genuinità del prodotto

La seconda importantissima novità è il passaggio da una salatura a secco a una salatura a immersione in salamoia.

Questo migliora la presa del sale facendo sì che le forme da basse e larghe diventino più strette e alte.

Tale innovazione, inoltre, ha fatto sì che il peso delle suddette potesse aumentare raggiungendo quello attuale.

Forme più grosse sono anche di maggior pregio poiché si riduce la percentuale di crosta mentre aumenta quella di polpa, la parte interna.

Infine, la terza novità consiste nell’introduzione del vapore per scaldare il latte e, poi, la cagliata presenti nelle caldaie.

L’introduzione di queste tre importantissime innovazioni riprese, poi, dal disciplinare del Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano nel secondo dopoguerra, si possono collocare tra la seconda metà dell’ottocento e i primi del novecento.

Ti dico questo per darti un’idea di quanto lungo è stato il processo evolutivo del re dei formaggi che per altro, anche oggi, rimane un prodotto artigianale che in molti dei suoi passaggi produttivi richiede l’uso delle sapienti mano del casaro.

CONCLUSIONE

Spero che questo viaggio alla scoperta di come si è prodotto nel corso del tempo e si produce, attualmente, il Parmigiano Reggiano, uno dei protagonisti della tradizione culinaria dell’Emilia Romagna, che è diventato un’eccellenza italiana, ti sia piaciuto.

Se è così, per non perdere i prossimi articoli iscriviti alla mia Newsletter e continua a seguire il blog!

Ciò detto non mi resta che salutarti dandoti appuntamento al prossimo post.

Ciao,

Mamma Rosa

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